giovedì 31 marzo 2016

Ontologia o onticologia...o entrambe?

Questa è la mia risposta cui spero segua replica.


Più ci penso e più non capisco.
Se diamo per scontata la distanza, o comunque sia la profonda differenza, quasi fosse posta in una dimensione diversa (magari attigua ma diversa) tra ontologia e etica significa che non vi è ricerca che tenda a farle convergere.
Ma senza la ricerca che sia di indirizzo a farle convergere il risultato sarà l'inevitabile predominio di quelle forze naturali che tendenzialmente ignoreranno (quindi ignoranti) quelle etiche.
Non vorrei che il discorso tra "essere" e "dover essere" non venisse posto nella giusta prospettiva: l'ontologia non può "dimenticarsi" il "dover essere", anzi, il continuare a "voler essere".
Vorrei rendere leggibile in modo chiaro tutta la questione, quindi passo a definire i significati.
"L'essere" è la mente (ma anche non solo quello) e il "voler essere" sono i geni se vogliamo rendere l'astrazione leggibile...

Ok, sono andato a vedere il significato e cosa esattamente si intende per ontologia (visto che non ho studiato filosofia potrebbe essere che io intenda una cosa ma il termine ne significhi un'altra...e infatti) e ho notato che ciò che io intendo è proprio l'onticologia. Quindi, quando sopra dico ontologia intendevo onticologia.
Infatti non colgo differenza tra ontologia e morale e di conseguenza etica.
La morale è figlia del suo tempo, ce lo insegna la storia stessa della filosofia. Non esiste una morale assoluta e di conseguenza neppure un'etica assoluta.
Non esiste nulla di assoluto in questo universo.

Quando dico "figlia del suo tempo" intendo propriamente della qualità, o essenza che dir si voglia, di quel tempo.
Non vorrei che sfuggisse ai filosofi attuali quello che è oramai dimostrato empiricamente; non esiste un tempo assoluto. Esso "subisce" la condizione spaziale ove lo si misuri. Ma se non esiste un tempo assoluto è più che immaginabile che esso abbia anche delle qualità e interagisca con le qualità dello spazio che occupa dato che sono una cosa unica, cioè hanno medesimi attributi.
Ecco che il senso di consapevolezza della morale viene influenzato dalla qualità del tempo in cui si trova.
Cioè la mente, che è quella che "interagisce" coi princìpi primi soggiacenti nell'universo, e non vi è dubbio che essi siano parte dell'universo altrimenti vorrebbe dire che anche la mente non ne fa parte (ma sarebbe più che arduo sostenerlo),  a questi fa riferimento.
Quindi, se diamo per buono che la morale è figlia del tempo relativo, la differenza sostanziale è tra il "voler essere" e "l'essere", tra onticologia e ontologia e la morale è ciò che la mente riesce a cogliere del tutto. 
Il problema di  Dio non è risolvibile dalla mente umana in quanto la mente pur non essendo il cervello, si manifesta tramite esso ed i suoi limiti. La mente in uno sforzo tendente all'assoluto, a volte riesce a "dimenticarsi" la situazione contingente in cui si trova, probabilmente sconfinando nella dimensione dei princìpi, e coglie l'essenza del tutto, la quale non va intesa come Dio, ma come informazione dimensionale di esso.

La sfida è la coniugazione tra il "voler essere" e l'"essere". Per poter cambiare il mondo (l'uomo), e per farlo in modo strutturale e non solo formale (e qui si potrebbe aprire una parentesi sconfinata sul fatto che per esempio più di duemila anni di Cultura intesa nel senso più ampio, quindi ivi compresa la filosofia, non siano riusciti a cambiare l'uomo strutturalmente, nella sua natura dico io, dato che ancora compie tutta quella serie di comportamenti di conseguenza ai quali i risultati sono delle carneficine via via di entità maggiore. Poco più di due generazioni fa l'ultima che somma decine di milioni di vittime) è necessario compiere lo sforzo continuo di "leggere tra le righe" delle informazioni che da ambo le parti, quella ontica e quella ontologica, giungono a "noi" (e dico noi perché l'umano non è concepibile come fine a se stesso, eliminando in questo modo alcuni paradigmi che pongono il suo egoismo come linea guida per  la sua emancipazione dalle forze che lo limitano).
In questo modo si dovrebbero evitare alcune "letture in libertà" di ciò che è il "diritto di".
E segue esempio:quando tu parli di Diritti Civili dei diversamente eterosessuali cosa esattamente intendi: sono quelli relativi alla sfera dei sentimenti e dei valori materiali e giuridici che regolano la coppia sia in essere sia che sia stata e per ciò che sarà?
Cioè il disporre di tutte le possibilità relative alla persona cara, come essere La persona deputata a seguire l'amato nella disgrazia, poter disporre dei lasciti, poter sancire questa unione a livello istituzionale anche nella forma etc etc?
Oppure, ivi compreso c'è la possibilità di "avere" un figlio in uno dei modi che la legge prevede per le coppie formate da entrambi i sessi?
Se quei Diritti Civili si fermano alla prima ipotesi non vedo come onticologia ed etica possano avere problemi.
Nel secondo caso ci sono, ma non ne illustro le motivazioni dato che potrebbe non servire (ma posticipandone la spiegazione nel caso dovesse essere richiesta; accenno solo al fatto che la supposta ignoranza; a) non è supposta. b) questa ignoranza ha una sua funzione. Così come vi sono princìpi morali cui l'uomo non può sfuggirne, allo stesso modo vi sono quelli ontici. L'ignoranza così detta dal punto di vista morale, è fisiologica al voler essere cui non è possibile sfuggire).

L'uomo non può permettersi di lasciare che le forze ontiche e ontologiche restino tra loro distanti, pur rispettandone, e qui sta il paradosso, le diverse leggi.

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