giovedì 31 marzo 2016

Un amico

Per onestà e correttezza pubblico la risposta. Non pubblico nome e cognome per correttezza sulla privacy, ma se il diretto interessato accossentisse non avrei problemi a farlo. Lo ringrazio molto in quanto ha prodotto un post senza che debba "sbattermi" troppo, e in quanto è un grande aiuto alla prosecuzione di un indirizzo generale volto a preservare la nostra cultura dallo sfascio.
Ciò che segue è suo. Grazie Dario.

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Ciao Sandro, mi fa sempre piacere proseguire e approfondire un dialogo!
Anche perché l'occasione del mio intervento, limitata a un'oretta di presentazione, e l'oggetto stesso, la visione teologica di un filosofo, necessitano un approfondimento. Ti propongo alcuni (s)punti per una riflessione e chiarimenti sulla mia posizione..

1. Il filosofo e il cristiano. Stanno all'interno della tessa persona, negli anni hanno imparato a convivere, ma usando due linguaggi diversi. Il mio tentativo non è di ritrovare Dio attraverso la scienza, cosa di principio impossibile, ma di riconoscere - cosa assai più umile - la non-contraddizione del discorso scientifico con l'idea di Dio. Ora, quale idea di Dio? Quella lévinassiana dell'alterità, dell'esteriorità e della trascendenza assolute, che ho io penso nei termini dell'opposizione tra l'universo quale "sistema dell'immanenza" e Dio quale "principio trascendente". Giordano Bruno, che non trova Dio nell'infinito dell'universo, viene bruciato vivo nel 1600, ma dice qualcosa di "teologicamente corretto", alla luce della teologia contemporanea.

2. Perché il Dio cristiano? Non per una ragione antropologica o sociale ma, più strettamente logico-metafisica - e cristiana. Ecco, nella scelta del Cristianesimo, il filosofo e il teologo si incontrano. Trovo nel Cristianesimo l'unica religione fondata sull'identità dialettica della "contraddizione" (dell'esistenza umana) e della "riconciliazione" (dell'umano e del divino, dell'umano con il divino); l'unica religione che sfida appartamento la logica classica, pensando un Dio che si fa uomo, un esistente che muore per sconfiggere la morte, ecc. Tutta la religione cristiana, così come esposta nel Nuovo Testamento (e non come vissuta e interpretata dalla storia del clero), è cifra di una profonda contraddizione, risolta ma non annullata (come in Hegel) da una mediazione "impossibile eppure reale". Un interessante luogo filosofico ove ritrovare e incarnare questo discorso è quello di L. Pareyson ("Ontologia della libertà")  e del suo eccezionale allievo C. Ciancio ("Il paradosso della verità"). 

3. Sulle suggestioni scientifiche. Nell'intervento mi sono limitato a esporre l'esperimento mentale di un'intelligenza universale che, attraverso una sorta di "materia signata", ricostituisce le formazioni biologiche individuali. Ciò non implica che il codice genetico umano sia "progettato" o "eletto"; vuol solo dire che un'intelligenza suprema, sulla base del nostro DNA, sarebbe capace a posteriori di ri-crearci come siamo ora. I geni sono la biblioteca, la maggior parte di essi non è attiva - ma non viene gettata via; i nostri "attributi essenziali" sono determinati solo dai geni attivi. La "materia signata" di Tommaso non dovrebbe solo determinare il codice genetico umano, ma discernere al suo interno quali sono i geni attivi. Per questo parlo di una intelligenza suprema e infinita, riconducibile solo a Dio (in quanto Assoluto).
Tornando alla questione genetica, che, vedo, ti ha molto interessato, si pongono un problema di ordine metafisico ed uno di ordine etico. Il risorto non sarebbe  me stesso, ma un mio "clone". Il clone avrebbe la mia stessa mente? L'anima individuale non è forse unica e irripetibile? Essa verrebbe come strappata dall'eterno per ritornare al mondo? O la realizzazione del clone sarebbe piuttosto la prova dell'inesistenza di un anima trascendente (perché, se esistesse davvero questo "soffio vitale" che è lo spirito, il clone non potrebbe prendere vita)? Il problema è, ovviamente, complesso. C'è poi la questione etica (e sociale) sulla liceità della clonazione, che si intreccia su quella del "diritto alla vita": fin dove si spinge? contempla anche il diritto di creare una ex-novo? Se diciamo che la clonazione è sbagliata perché non è qualcosa di "naturale", onestamente inorridisco: l'argomento della "naturalità" è lo stesso argomento usato da razzistelli, ignoranti e fascistoidi per negare, ad esempio, i diritti civili alle coppie omosessuali. Breve chiosa: diritti civili e sfera religiosa vanno separati, almeno nel XXI secolo! Se una donna vuole abortire non deve, a mio avviso, esserci una legislazione che gli lo impedisca; per me resta un peccato e un omicidio (la vita "inizia dall'inizio", non dopo una settimana, un mese o tre mesi), ma la legge deve punire i delitti, non i peccati. Il peccato e la conformità alla legge divina saranno giudicati da Dio, e non dall'uomo. Tornando al discorso sulla clonazione,  anche porre un limite alle possibilità di clonazione mi sembra inadeguato: perché clonare una pecore sarebbe ammissibile e clonare un uomo no? Come sostiene Singer in "Etica pratica", non esiste alcun privilegio etico attribuire alla specie homo rispetto agli altri animali del pianeta. La questione è, anche qui, complessa. Credo tuttavia che, in questo caso, l'etica imponga una risposta totalitario e priva di mediazioni: o sì o no....

4. Etica e ontologia. Noto che nel tuo discorso ragioni etiche e ontologiche si soccorrono a vicenda, o meglio, che le ragioni ontologiche vengono a supportare una posizione di ordine etico e sociale. Invero etica e ontologia sono due dimensioni che tendono a respingersi, più di quanto può apparire. L'essere e il dover-essere raramente coincidono. In merito, ti consiglio di approfondire i punti di vista di due grandi autori contemporanei: Heidegger (sull'insensibilità dell'ontologia alle determinazioni di ordine etico) e Lévinas (sul primato logico/metafisico delle ragioni etiche su quelle ontologiche). In breve, l'ontologia restituisce una storia scritta dai vincitori, un destino di fronte al quale nessun  uomo può opporsi, e una serie infinita di azioni di cui nessuno è veramente responsabile. Certo, le cose - purtroppo - sono affettivamente così - questa è la legge dell'essere - ma non devono essere così. La filosofia non si deve ridurre al compito ontologico, la descrizione dell'esistente, ma deve trasformare il mondo!

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